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Professione
L’editoriale

Ci stiamo avvicinando verso la fine anche di quest’anno che ci ha visti alle prese con tantissime “novità” più o meno preannunciate.  Abbiamo iniziato il 2022 speranzosi e con un forte rilancio che, dopo la dolorosa crisi sanitaria, ci proiettava verso nuovi traguardi e opportunità, ma ci siamo presto trovati in un’altra crisi, altrettanto pericolosa, innescata dalla guerra, poi incrementata dalla speculazione di alcuni network produttivi ed economico-finanziari, trascinando l’aggravarsi della situazione. 

Rimbalzando da un male a un altro, spinti anche dalle problematiche climatiche e ambientali, sono venute a galla una serie di questioni importantissime che non possiamo più permetterci di trascurare o di lasciare la loro risoluzione a “indefiniti tempi migliori”.

In realtà, credo che il nostro nemico numero uno in questo preciso momento storico si possa chiamare incertezza. 

La molteplicità di eventi inaspettati (o quasi), la complessità delle problematiche emergenti e il loro effetto trasversale su ogni aspetto delle nostre vite in ogni ambito lavorativo, professionale e produttivo ci hanno barricato in un angolo ristretto con margini di azione ridotti. 

Ci troviamo ingabbiati in circoli viziosi, dove per risolvere un problema ne spuntano velocemente altri, come funghi dopo la pioggia, per scoprire spesso che il frutto appena raccolto ha una “breve durabilità e scarse proprietà nutritive”. 

Pensiamo per esempio al nostro settore Food&Beverage, ma anche all’industria dell’ospitalità, hanno vissuto un vero boom questa estate con prenotazioni e tutto esaurito, sperando finalmente a una svolta e recupero degli incassi perduti durante la pandemia: guadagni presto evaporati per il tramite delle bollette energetiche. 

Ed è sempre, più o meno, con lo stesso schema che si trasformano in fumo tutti gli sforzi compiuti durante l’emergenza sanitaria che si è travasata in un buco nero che inghiotte ogni cosa negli infiniti meandri delle svariate transizioni con le quali viviamo e operiamo da anni, sempre con diversi ritmi e dinamiche. 

Evidentemente tutte queste oscillazioni, con le loro imprevedibilità, hanno generato un’onda d’urto anche nelle filiere agroalimentari, portandole a uno stato di shock che, secondo me, continuerà a espandersi progressivamente anche durante il prossimo anno, vedendo le scorte del settore sia in termini di approvvigionamento di materie prime che di risorse economiche, mutare sempre di più. 

La scossa energetica perderà sicuramente la sua potente carica, ma aprirà lo spazio a nuovi scenari altrettanto complessi e incerti.

Nello specifico, la ristorazione e l’ospitalità – punte di diamante del sistema Made in Italy – dovranno affrontare, oltre alle urgenze dettate dalla situazione contingente, anche le grandi trasformazioni strutturali e di sistema obbligatorie per costruire il futuro. 

Mi riferisco alla pungente necessità di applicare nuovi modelli organizzativi e produttivi insieme con le innovazioni tecnologiche e di carattere ambientale che ne derivano, il tutto accompagnato da un’evoluzione profonda e trasversale delle competenze degli imprenditori e dei manager capaci di attuare una governance prospettica, che sappia gestire le complessità e le turbolenze dei mercati, anticipando le tendenze con azioni lungimiranti. 

La fiamma energetica accende però anche un altro fuoco di notevoli dimensioni per il settore food, che per via delle politiche di sviluppo e approvvigionamento globalizzato, trova bruciate le proprie risorse a causa dell’inflazione che in Italia ha raggiunto il +10% sui prodotti alimentari trasformati (Rapporto Coop 2022).

Non possiamo consolarci del fatto che siamo, tutto sommato, messi meglio degli altri, per esempio della Germania (+13,7%) e della Spagna (+13,5%), perché ciò comporta una forte restrizione all’export che sinora ha registrato i risultati migliori.

Un altro elemento a cui guardare con attenzione è la performance del commercio internazionale, sia per quanto riguarda l’eurozona che le esportazioni verso gli USA più competitive, le quali presentano anche l’altra faccia della medaglia: rendere le importazioni di materie prime chiave ancora più costose danneggiando così le economie di trasformazione come quella italiana specializzata nelle fasi intermedie e a valle della catena del valore. 

Forti delle nostre tradizioni e sotto l’ombrellone del Made in Italy che ci ha sempre spalancato le porte di ogni mercato, oggi ci protegge poco o niente di fronte alla concorrenza che produce con costi notevolmente più bassi. 

Per il momento ci salva solo la qualità e l’eccellenza indiscussa dei nostri prodotti che però, prima o poi, cederanno alle ristrettezze economiche dei consumatori. 

Le rendite di posizione stanno vacillando se non si interviene a livello istituzionale con piani strutturati frutto di una visione lungimirante, che potremmo riassumere in tre parole chiave: energie, visioni, soluzioni.

Lo confermano i dati Istat relativi al commercio al dettaglio nel primo semestre 2022, che su base annua fanno registrare una diminuzione delle quantità di beni alimentari acquistate per il sesto mese consecutivo: il carrello della spesa degli italiani nel 2022 registra un taglio del 3% delle quantità di prodotti alimentari acquistate rispetto allo scorso anno per effetto del balzo dei prezzi.

In questo scenario di crisi strutturale, che, secondo i più autorevoli analisti, si può definire come la più grave dopo la Seconda Guerra Mondiale, le prospettive per il nuovo anno, anche per i più ottimisti, non appaiono rosee. 

Non è tra le mie intenzioni voler condire con mielosi slogan di coraggio questo editoriale in chiusura del 2022, piuttosto vorrei far riflettere tutti sulla necessità di imparare a guardare le cose e gli avvenimenti in maniera diversa e più profonda, cambiando il paradigma e la prospettiva di visione e azione. 

La parola “crisi” contiene già in sé un significato profondo che deriva dal greco antico (κρίσις, “discernimento, separazione, giudizio” ma anche “punto di svolta”, a sua volta dal verbo κρίνω, “separare, scegliere, decidere”. Certamente non è una parola simpatica, essa rappresenta un momento difficile, duro e spiacevole, di cui ognuno ne farebbe volentieri a meno, dal decorso di una malattia alla vita di un governo, dal turbamento davanti a certi problemi a una ciclica patologia dell’assetto economico.

Dunque, come ci insegnano i saggi, anche gli indovinelli più difficili contengono in sé la risposta del quesito posto. Nel caso attuale, ciò significa che dobbiamo imparare a governare la crisi ribaltando e invertendo le sue dinamiche in senso opposto, sfruttando le difficoltà a favore e alla ricerca di soluzioni sostenibili basate su una visione globale e trasversale in grado di spostare il baricentro e i vincoli della crisi energetica e dare slancio a nuove strategie vincenti.

Perciò, penso che il miglior augurio e motto per tutti noi e per il nuovo Governo, per il nuovo anno, sia racchiuso nelle parole provocatorie di Einstein ne “Il mondo come io lo vedo” del 1931: “Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni”. 

Massimo Artorige Giubilesi
Presidente Ordine dei Tecnologi Alimentari
Lombardia e Liguria