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La delicata questione del rapporto tra fertilizzazione azotata e produttività cerealicola è stata al centro di una presentazione in occasione del 40° Anniversario di Assofertilizzanti nel corso della quale Nomisma ha diffuso i dati di uno studio ad hoc sul tema.

L’analisi ha posto particolare attenzione all’uso dell’urea sulla produttività dei cereali nel Bacino Padano. Lo studio, illustrato da Ersilia Di Tullio, Head oh Strategic Advisory di Nomisma, è stato sviluppato con il supporto tecnico-scientifico del Prof. Amedeo Reyneri dell’Università di Torino.

La ricerca ha evidenziato come il divieto di utilizzo dell’urea a partire dal 2028, previsto dal Piano Nazionale per la Qualità dell’Aria per contenere le emissioni di ammoniaca, potrebbe avere effetti rilevanti sulla produzione cerealicola italiana, con potenziali perdite economiche significative.

Le quattro regioni del Bacino Padano – Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – sono il fulcro della cerealicoltura nazionale, concentrando il 43% del valore della produzione agricola italiana e la maggior parte delle superfici coltivate a mais, frumento e riso.

Dallo studio emerge che il contributo dell’urea alle emissioni di gas serra è estremamente limitato (solo lo 0,1% delle emissioni totali italiane e l’1,3% di quelle agricole), mentre le emissioni di ammoniaca derivanti dall’agricoltura – generate sia dai concimi che dalla zootecnia – sono in progressivo calo su scala nazionale.

Nomisma e Assofertilizzanti segnalano con soddisfazione come, negli ultimi anni, la fertilizzazione abbia intrapreso un percorso virtuoso, grazie all’innovazione tecnologica e all’adozione di best practice, che hanno portato a una riduzione dell’uso di concimi di sintesi e a una crescita del contributo dei fertilizzanti organici. Tuttavia, segnalano anche che l’impiego dell’urea resta centrale per garantire l’apporto di azoto alle colture agrarie, coprendo attualmente il 44% della domanda agricola di azoto.

Esistono alternative all’urea ma, pur disponibili, sono più costose e meno pratiche dal punto di vista operativo e logistico. A titolo di esempio viene citato il fatto che, per ottenere lo stesso apporto di azoto fornito da 1 kg di urea, sono necessari quantitativi nettamente superiori di altri fertilizzanti – soprattutto organici – con un conseguente aumento dei costi e della complessità gestionale.

Le conseguenze del divieto

Per stimare l’impatto di un eventuale divieto, Nomisma ha sviluppato un modello di simulazione per scenari, in grado di valutare il calo delle produzioni e del loro valore – anche in termini di qualità – per i principali cereali del Bacino Padano. In assenza di concimazione azotata minerale, e in particolare della sola urea, si registrerebbe una drastica perdita produttiva, sia nel breve che nel lungo periodo.

In particolare, lo studio stima che l’eliminazione dell’urea, senza adeguate alternative, comporterebbe nel lungo termine una perdita fino al 45% del valore della produzione cerealicola, pari a circa 1,2 miliardi di euro. In caso di stop totale ai concimi minerali azotati, la perdita potrebbe arrivare al 71%, ovvero 1,9 miliardi di euro. Le colture più colpite sarebbero mais da granella, frumento e riso, alla base delle grandi produzioni DOP e dei prodotti da forno, dolciari e della pasta.

Fonte: Nomisma