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La discussione sul Meat e Milk sounding è arrivata ad una definizione con la sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. 2° del 04 ottobre 2024 nella causa C-438/23 che si è espressa sull’uso di termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale per designare un prodotto contenente proteine vegetali.

A luglio 2022, Protéines France, che rappresenta gli interessi delle imprese attive sul mercato francese delle proteine vegetali, ha presentato ricorso dinanzi al Consiglio di Stato (Francia),  chiedendo l’annullamento di un decreto che vietava alcune denominazioni tradizionalmente associate ai prodotti di origine animale per designare prodotti  contenenti proteine vegetali e ne definiva un elenco.

A sostegno dell’annullamento del decreto intervenivano nel procedimento, rispettivamente, l’EVU e l’AVF, che promuovono il vegetarianismo, la prima nell'Unione e la seconda in Francia, nonché Beyond Meat, che fabbrica e commercializza prodotti a base di proteine vegetali.

I ricorrenti nella causa principale fanno valere, in particolare, che detto decreto – il quale vieta, per designare prodotti trasformati contenenti proteine vegetali, l’uso di nomi come “bistecca” o “salsiccia”, senza e anche con l’aggiunta di dettagli aggiuntivi come “pianta” o “soia” – contrasta con il Regolamento n. 1169/2011.

Il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte alcune articolate questioni pregiudiziali.

La decisione della Corte di Giustizia

Nel corso del giudizio, è intervenuto il governo italiano – che aveva adottato un decreto analogo a quello francese ma la cui notifica alla Commissione UE era stata archiviata – ha sostenuto che:  “Poiché gli Stati membri, in mancanza di una denominazione giuridica prescritta dalle disposizioni dell’Unione legge, possono adottare misure per attribuire denominazioni legali a determinate derrate alimentari, deve essere loro concesso anche il potere di vietare l’uso di determinate denominazioni per determinate derrate alimentari [...]. Il divieto di utilizzare una denominazione per taluni prodotti alimentari equivale all’imposizione di una denominazione legale per prodotti alimentari che presentano caratteristiche diverse da quelle oggetto del divieto in questione”.

Contro tale argomentazione, la Corte rileva che “una denominazione legale non può essere considerata equivalente all’adozione di provvedimenti che vietino l’uso di determinati termini, non definiti giuridicamente da tali provvedimenti, per designare prodotti alimentari che presentino determinate caratteristiche, in particolare per quanto riguarda la loro composizione”.

Osserva, inoltre, che il diritto dell’Unione non prevede una norma che riservi ad alcuni prodotti alimentari, specificatamente definiti come di origine animale, l’uso di denominazioni legali contenenti termini provenienti dai settori delle macellerie, dei salumifici e delle pescherie, disciplinati dal decreto francese.

Pertanto, considerato che il decreto francese non contiene una “denominazione legale”, ma riguarda la questione di quali “nomi usuali” o “nomi descrittivi”, la Corte ritiene che essi non possano essere utilizzati per designare prodotti alimentari a base di proteine vegetali.

La Corte, inoltre, ritiene che gli obblighi previsti dal Reg. UE 1169/2011 di indicare i c.d ingredienti sostitutivi (articolo 7, paragrafo 1, lettera d) e allegato VI, parte A, punto 4) sono sufficienti a escludere il rischio  di inganno del consumatore sulla composizione del prodotto,  per cui  lo  Stato membro non appare legittimato ad adottare misure generali e astratte per  prevenire tale ipotetico rischio.

Tale norma, si ricorda, prevede che: “4. Nel caso di alimenti in cui un componente o un ingrediente che i consumatori presumono sia normalmente utilizzato o naturalmente presente è stato sostituito con un diverso componente o ingrediente, l’etichettatura reca – oltre all’elenco degli ingredienti – una chiara indicazione del componente o dell’ingrediente utilizzato per la sostituzione parziale o completa:

a) in prossimità della denominazione del prodotto; e

b) in caratteri la cui parte mediana (altezza della x) è pari ad almeno il 75% di quella utilizzata per la denominazione del prodotto e comunque di dimensioni non inferiori a quelle previste dall’articolo 13, paragrafo 2, del presente regolamento”.

La Corte osserva in ogni caso che  “se un’autorità nazionale ritiene che le modalità concrete di vendita o di promozione di un prodotto alimentare inducono in errore il consumatore, essa può perseguire l’operatore del settore alimentare interessato”.

Le differenze rispetto al mondo del latte

Diritto alimentare sound 02La sentenza in oggetto chiarisce in modo netto le differenze rispetto al mondo lattiero-caseario.
Nel corso del giudizio, il Governo Italiano aveva sostenuto che il divieto di utilizzare una data denominazione per taluni alimenti equivale all’imposizione di una denominazione legale per gli alimenti che presentano caratteristiche diverse da quelle oggetto del divieto di cui trattasi. A sostegno di tale argomentazione richiamava la sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com (nella causa C-422/16), in cui la Corte avrebbe escluso che le denominazioni “latte” e “prodotti lattiero-caseari” possano essere utilizzate per designare alimenti non derivati dalla secrezione mammaria.
Nella sentenza in esame, viene ribadito che tale mancanza di equivalenza non è messa in discussione dagli insegnamenti della decisione TofuTown da cui emerge che: “ Le disposizioni del Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti […] definiscono in modo preciso i requisiti che gli alimenti devono rispettare per poter utilizzare la denominazione «latte» e denominazioni proprie dei «prodotti lattiero-caseari». In forza di tali disposizioni, da un lato, la denominazione «latte» è riservata esclusivamente al prodotto della secrezione mammaria normale. D’altra parte, i «prodotti lattiero-caseari» sono quelli derivati esclusivamente dal latte e solo tali prodotti possono utilizzare le denominazioni di un elenco allegato al Regolamento n. 1308/2013 e le denominazioni, ai sensi dell’articolo 17 del Regolamento n. 1169/2011, effettivamente utilizzate per tali prodotti.
È alla luce di tale quadro giuridico specifico che, nel dispositivo della sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com […], la Corte ha statuito, in sostanza, che tali disposizioni impediscono che la denominazione «latte» e le denominazioni riservate ai soli «prodotti lattiero-caseari» siano utilizzate per designare, nella commercializzazione o nella pubblicità, un prodotto puramente vegetale, anche se tali denominazioni sono integrate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione, a meno che non sia prevista un’eccezione dal diritto dell’Unione”. In ciò sta la differenza rispetto al mondo delle carni: ossia “Il diritto dell’Unione non prevede alcuna norma che riservi a determinati alimenti specificamente definiti come di origine animale l’uso di denominazioni legali contenenti termini dei settori della macelleria, della salumeria e della pescheria”.

Conclusioni

La decisione della Corte di Giustizia definisce in modo molto chiaro la posizione dell’Unione europeo in materia di armonizzazione normativa e di limiti degli Stati membri su determinate materie.

Mentre per il mondo delle carni l’assenza di denominazioni definite a livello comunitario esclude la possibilità di intervenire con norme nazionali che limitino l’uso termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale per designare un prodotto contenente proteine vegetali, per il mondo del latte viene confermato quanto già statuito, ossia il divieto di utilizzo delle denominazioni riservate al latte e ai prodotti lattiero-caseari per prodotti vegetali.

Avv. Chiara Marinuzzi Studio legale Gaetano Forte