Il ruolo e il valore del nostro prodotto, nel contesto nazionale e internazionale, sono stati al centro di un incontro che ha analizzato anche le tendenze e le prospettive del comparto.
Parliamo di una realtà che in Italia conta circa 30.000 imprese di trasformazione e oltre 240.000 aziende nella fase primaria della filiera, con un fatturato complessivo pari a 16 miliardi di euro e un peso del 9% sul food & beverage nazionale.
Questi i dati generali forniti da Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare e Wine Monitor Nomisma, durante la presentazione della sua relazione nel corso del XIV incontro con il Territorio del Comitato Leonardo organizzato in collaborazione con Herita Marzotto Wine Estates.
Nel 2024 l’export ha superato gli 8 miliardi di euro, ovvero il 14% delle esportazioni agroalimentari complessive: l’Italia resta il primo esportatore mondiale per volumi e il secondo per valore, dietro la Francia. Tuttavia, nel corso degli ultimi vent’anni, il nostro posizionamento sui mercati esteri è aumentato in maniera rilevante. Pantini ha ricordato che, se ad inizio millennio l’Italia era leader nell’export di vino in appena 9 mercati, oggi lo siamo in 46, con una quota a valore che è passata dal 17% al 22%, a fronte di un calo dei vini francesi, che sono diminuiti dal 38% al 33% dell’export mondiale.
I limiti italiani
La struttura produttiva del vino italiano resta però estremamente frammentata: a fronte di 409 Dop e 118 Igp, le prime 100 imprese coprono solo il 46% del fatturato e il 58% dell’export, contro percentuali molto più alte in Francia e Australia. Inoltre, si rileva una forte dipendenza dal Prosecco, che da solo rappresenta un quarto dell’export imbottigliato italiano, una concentrazione che espone il sistema ai rischi di saturazione dei mercati e di variazioni regolatorie o commerciali.
Il quadro globale
L’analisi di Nomisma segnala che uno degli elementi più incisivi nello scenario attuale è quello delle politiche doganali e commerciali: a causa dei dazi e delle rappresaglie incrociate tra Stati Uniti, Canada e Cina, i produttori americani – paradossalmente – hanno perso nei primi sette mesi del 2025 circa il 30% del loro export complessivo. Al contempo, il mercato canadese e quello cinese, tradizionalmente forti per gli USA, si sono drasticamente ridotti.
Per l’Italia l’effetto diretto è più attenuato, ma comunque presente, aggravato anche dalla contemporanea svalutazione del dollaro: nei primi sette mesi del 2025, le esportazioni italiane di vino sono calate del -0,9% in valore, anche se per avere un quadro più preciso degli effetti occorrerà attendere fine anno.