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I dati del Focus Censis Confcooperative sulle conseguenze dei cambiamenti climatici certificano l’entità del costo per la nostra economia. A rischio una piccola e media impresa su quattro; nelle zone vulnerabili il rischio di fallimento aumenta del 5%.

«È di 210 miliardi di euro il conto che disastri naturali e cambiamenti climatici hanno presentato al nostro paese. Si tratta di un costo pesantissimo pari all’intero importo del PNRR e a 10 manovre finanziarie. Di questi 210 miliardi ben 111 sono determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Ecco perché la cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema paese». Lo dice Maurizio Gardini presidente di Confcooperative commentando i dati che emergono dal Focus Censis Confcooperative “Disastri e climate change conto salato per l’Italia” che certifica, dati alla mano, come negli ultimi 40 anni 1/3 del valore dei danni provocati da eventi estremi nella Ue sia stato “pagato” dall’Italia. «Venendo agli ultimi anni parliamo di 42,8 miliardi solo dal 2017 al 2022. Nel 2022 è costato quasi 1% di PIL, lo 0,9% per l’esattezza, pari a 17 miliardi circa: un importo – precisa Gardini – poco inferiore a una manovra finanziaria».

L’impatto sulle imprese

«Ben 1 Pmi su 4 – aggiunge Gardini – sono minacciate, perché localizzate in comuni a rischio frane e alluvioni e presentano una probabilità di fallire del 4,8% più alta di quella delle altre imprese una volta che si sia verificato l’evento avverso». Nello stesso tempo, queste imprese realizzano un risultato economico inferiore del 4,2% e hanno una dimensione d’impresa, in termini di addetti, inferiore alle imprese localizzate in territori non esposti a rischi di frane e alluvioni.
Come è facile immaginare, l’agricoltura è il settore più colpito: solo nel 2022 si sono persi circa 900 milioni con un calo della produzione dell’1,5%. Buona parte del risultato negativo è da imputare alla diffusa siccità e alla carenza di precipitazioni, tanto che il 2022 è considerato l’anno più caldo di sempre.
Quasi tutte le tipologie di coltivazioni hanno subito un duro contraccolpo: la produzione di legumi (-17,5%), l’olio di oliva (-14,6%), i cereali (-13,2%). In flessione anche ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%). Il comparto zootecnico ha subito una riduzione della produzione pari allo 0,6%.
Dal punto di vista territoriale, la flessione del volume di produzione ha avuto una maggiore incidenza nel Nord Ovest (-3,5%) e nel Sud (-3,0%), mentre al Centro non si è registrata alcuna variazione. Se si guarda al valore aggiunto, la tendenza negativa appare particolarmente evidente nel nord Ovest con un -7,6%. Al Sud il valore aggiunto si riduce del 2,9%.

I disastri naturali e il climate change

La stime, come detto, è che tra il 1980 e il 2022 in Italia le perdite economiche causate da eventi estremi e da disastri naturali si attestino sui 210 miliardi di euro.
I cambiamenti climatici hanno prodotto danni per 111, di cui 57,1 miliardi di euro per alluvioni; ondate di calore, con un costo pari a 30,6 miliardi (14,6%); le precipitazioni per 15,2 miliardi di euro (7,2%). Siccità, incendi boschivi e ondate di freddo, invece, hanno causato danni per 8,2 miliardi. I disastri: poco meno di 100 miliardi, sono imputabili a terremoti, eruzioni, frane e altri fenomeni geofisici. E 1/3 del valore dei danni provocati da eventi estremi nella Ue è stato “pagato” dall’Italia.

Tavola1

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