Il comparto ittico italiano ha bisogno di azioni che valorizzano le imprese e il prodotto. Ne abbiamo parlato con Francesca Biondo, Direttore Federpesca, Federazione Nazionale delle Imprese di Pesca. Ecco il quadro che emerge e le prospettive future a tutela delle imprese, del consumatore e dell’ambiente marino italiano.

Quali sono gli scopi della Federazione e chi sono gli appartenenti?

La Federazione Nazionale delle Imprese di Pesca (FEDERPESCA), costituita nel 1961 e da allora aderente a CONFINDUSTRIA, associa, rappresenta e tutela gli armatori della pesca italiana e le imprese della filiera ittica presso la Pubblica Amministrazione, il Parlamento e l’Unione Europea. Obiettivo principale di Federpesca è quello di supportare le imprese della pesca italiana sia attraverso azioni di ordinaria assistenza e consulenza, che tramite iniziative specifiche volte a proiettarle su uno scenario di maggiore efficienza e competitività.

Quali sono gli obiettivi principali su cui state lavorando?

Allo stato, la situazione di emergenza ha evidenziato (se vogliamo, riconfermato) la “debolezza contrattuale” del comparto produttivo della pesca italiana rispetto ai mercati di sbocco. Diventa quindi di emergenza assoluta sostenere il settore nel riorientamento commerciale e – a monte – nella rimodulazione della produzione in mare rispetto al mutato quadro di riferimento. È questa la sfida del momento; è questo il ruolo che le associazioni e le istituzioni possono e devono assolvere per assicurare la “continuità aziendale”, che consenta alle imprese di restare sul mercato e sopravvivere a un vero e proprio tsunami. Se nel passato abbiamo ritenuto necessarie le azioni di ordinaria assistenza e consulenza, tramite iniziative specifiche volte a proiettarle su uno scenario di maggiore efficienza e competitività, nello scenario attuale tale supporto risulta insostituibile. 

Rispetto al tema della sostenibilità a quali iniziative state pensando, per controllare l’impatto della pesca sugli ecosistemi?

In questi anni Federpesca è stata in prima linea attraverso iniziative volte a sensibilizzare i pescatori sui temi della sostenibilità ambientale e della raccolta dei rifiuti antropici dal mare, anche grazie alla partecipazione a progetti pilota, volti all’utilizzo delle nuove tecnologie e dei risultati della ricerca scientifica con l’obiettivo di sostenere e incrementare la capacità di innovazione e la competitività delle imprese di pesca.  Alla quinta edizione di Seeds&Chips tenuta a Milano  a maggio 2019, il principale evento internazionale dedicato alla food innovation, Federpesca ha presentato HOM, “Humans of Mediterranean, La generazione che ha curato il mare”. Si tratta di un Manifesto sinora sottoscritto da 31 enti e associazioni di settore di 11 Paesi UE e della Sponda Sud del Mediterraneo. Un’alleanza nel settore della pesca, per difendere il mare dalla minaccia della plastica. Da sempre i pescatori rappresentano la migliore e più efficace risorsa che abbiamo per prenderci cura dei nostri mari, ma questi devono essere messi nelle condizioni di poter svolgere un ruolo utile, con interventi nella legislazione nazionale e UE, e sul piano operativo. Il recupero delle plastiche e di altri rifiuti dal mare operato spontaneamente dai pescherecci è stato infatti sinora disincentivato, lasciando sulle spalle degli operatori della pesca i costi di smaltimento, nonché la responsabilità civile e penale dei rifiuti raccolti. 

Sempre rispetto al tema della sostenibilità della pesca e dell’acquacoltura  in termini soprattutto di sicurezza nutrizionale, quali sono le criticità da affrontare  per poter garantire un prodotto alimentare sempre di alto livello?

Le maggiori criticità stanno nell’informazione dei consumatori. Le etichette sui banchi delle pescherie tradizionali e della grande distribuzione non sempre forniscono indicazioni  sulla provenienza e se il prodotto è pescato da pescherecci italiani; di solito è infatti indicata solo l’area FAO ma questa indicazione è troppo ampia. L’Italia, per esempio, rientra nell’area FAO 37 che individua tutto il mediterraneo. Lo stesso vale per i prodotti di allevamento. Dico questo, non perché incida sulla bontà e la qualità del prodotto ma perché il consumatore deve poter conoscere e scegliere se premiare prodotti di origine italiana  o altri di origine ad esempio spagnola. Ciò che auspichiamo è che i consumatori si indirizzino sempre di più su specie anche meno note, ma non per questo meno buone e che fanno parte del paniere di cattura dei nostri pescherecci. Valorizzare prodotti ingiustamente considerati più poveri significa anche valorizzare il lavoro delle imprese e degli addetti del settore, premiando allo stesso tempo il consumatore che potrà gustare un prodotto di qualità a prezzi inferiori.

 

Francesca De Vecchi

Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica

 

Pin It