A Tuttofood 2025 un convegno organizzato da AssoBio per conoscere alcune importanti storie di export delle migliori produzioni di qualità e un nuovo studio sul consumo del bio italiano all’estero. Il "Made in Italy" è apprezzato soprattutto per essere un modello sostenibile che valorizza biodiversità, qualità e legame con il territorio.

Oggi oltre il 20% della superficie agricola italiana è coltivata a biologico, e l’Italia è leader in Europa per numero di produttori e trasformatori. È con questa consapevolezza che si è aperto il convegno “Il Bio Italiano che piace al mondo”.

La visione del bio da parte dei consumatori europei

Il convegno ha dato spazio ai dati della ricerca SWG per AssoBio sul consumo dei prodotti biologici in Europa. Per il 22% dei cittadini europei, la scelta di un prodotto da acquistare si basa principalmente sul giusto rapporto qualità-prezzo, mentre per il 16% conta soprattutto la bontà. Il 13% si lascia guidare dall’aspetto esteriore del prodotto e il 6% sceglie in base alla sua provenienza da una filiera sostenibile o al fatto che sia biologico.

Per i canali di acquisto, emerge una netta preferenza per il supermercato quando si tratta di prodotti a lunga conservazione. Al contrario, per i prodotti freschi, i consumatori tendono a privilegiare canali più “territoriali”, come negozi di quartiere, mercati e produttori diretti. Questo comportamento suggerisce che, quanto più un prodotto è fresco, tanto più aumenta la propensione ad acquistarlo da realtà locali, segno di un interesse crescente verso il consumo di prodotti a Km 0 e verso scelte d'acquisto più consapevoli e sostenibili.

Di particolare rilevanza è la visione dei prodotti biologici da parte degli intervistati dalla quale emerge la necessità di una maggiore informazione e chiarezza sul tema: per il 76% di loro tutti i produttori dovrebbero usare metodi di produzione sostenibile, il 75 % dichiara di avere difficoltà nel capire se un prodotto sia effettivamente biologico, mentre il 61% vorrebbe acquistare biologico ma lo considera un prodotto costoso. In questo quadro, il 49% della popolazione europea non si fida delle certificazioni bio, mentre il 41% la considera solo una moda del settore agrifood: elementi riconducibili alla forte presenza nel settore di loghi e marchi che si definiscono “bio” e sostenibili, come pratiche di greenwashing più che di sostenibilità ambientale. C’è, tuttavia, apertura verso il mondo biologico, dato che il 56% riconosce la differenza tra prodotti bio e non bio e che il 58% dichiara che, se potesse, acquisterebbe esclusivamente prodotti bio.

Il bio 2.0 è etico e sociale

“Produzione, commercializzazione e distribuzione sono le nostre parole chiave, ma ciò che ci distingue davvero è una supply chain corta, unita alla passione che mettiamo in ogni fase del processo – ha spiegato Carlo Gaudiano di Bio Organica Italia. Questo approccio ci consente di presentarci ai distributori con la garanzia di una filiera controllata direttamente dal campo, assicurando una tracciabilità autentica e precisa. Per il distributore, i vantaggi sono chiari: il primo è la riduzione dei rischi, perché sapere dove e come viene coltivato il prodotto è una garanzia di qualità; il secondo riguarda il prezzo, che risulta più competitivo grazie alla presenza di meno passaggi intermedi.

Ciò che esportiamo, in particolare in Germania, lo definiamo ‘bio 2.0’: un biologico che va oltre gli standard tradizionali, con certificazioni più avanzate. Con la certificazione Naturland, per il mercato tedesco, puntiamo a raggiungere un consumatore più maturo e consapevole. Per ottenere questa certificazione, l’azienda deve soddisfare anche rigorosi requisiti sociali. Il risultato è un prodotto che non solo eccelle in qualità e caratteristiche sensoriali, ma rispetta anche standard etici, sociali e di biodiversità. È un ritorno alle radici del biologico, ispirato dai pionieri di questo settore."

Più competizione, più canali distributivi

Giovanni Battista Girolomoni, di Gino Girolomoni Cooperativa Agricola, racconta la propria esperienza partendo da prodotti: “Siamo stati tra i primi a introdurre la pasta integrale biologica e non abbiamo avuto difficoltà ad affermarci sul mercato internazionale. Il fondatore della nostra azienda era solito ricordare che, ancora prima dell'entrata in vigore della normativa europea, alcuni rappresentanti del dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti, erano venuti nelle Marche per studiare il nostro approccio al biologico e definire le linee guida per le normative. Oggi, però, molto è cambiato: la competizione è aumentata e i consumi sono cresciuti, è quindi fondamentale individuare i consumatori e i canali giusti. Ad esempio, in paesi come la Nuova Zelanda i nostri prodotti bio sono venduti presso negozi gourmet specializzati in prodotti italiani, mentre negli Stati Uniti siamo presenti nei “natural stores” che vendono solo prodotti senza OGM, conservanti o additivi, dove il biologico è visto come un ‘valore aggiunto’.

In Europa, invece, ci rivolgiamo principalmente a negozi specializzati in prodotti biologici, dove i consumatori sono più fedeli e consapevoli: chi compra un prodotto bio ha già fatto una scelta precisa. Nel mercato attuale è fondamentale avere caratteristiche distintive: non basta più il solo biologico, i consumatori oggi cercano anche una filiera certificata, un packaging sostenibile e, in mercati come la Francia, temi come il commercio equo-solidale o la vendita di prodotti sfusi. Proprio in Francia, ad esempio, il nostro mercato sfuso rappresenta il 35% delle vendite.”

Relazioni solide e partnership autentiche

"L’Italia è riconosciuta a livello internazionale come un punto di riferimento credibile nel biologico, grazie a imprese capaci di combinare qualità, gusto e serietà produttiva – spiega Cristina Cossa di Rigoni di Asiago. Tuttavia, è compito di ogni azienda trovare il giusto approccio per promuovere i propri prodotti nei diversi mercati, adattandosi alle specificità dei singoli Paesi e alle esigenze dei consumatori locali. Un aspetto cruciale è costruire relazioni solide con i distributori locali, coinvolgendoli nella propria realtà aziendale. Per questo, da sempre invitiamo i retailer – non solo italiani, ma soprattutto esteri – a visitare la nostra azienda, il territorio e gli impianti produttivi, permettendo loro di toccare con mano i nostri valori e il nostro impegno. Questo approccio ci ha permesso di instaurare partnership autentiche e di identificare le linee di prodotto più promettenti per ogni mercato.

Grazie a questa strategia, la quota di fatturato all’estero è cresciuta in modo significativo negli ultimi anni, raggiungendo quasi il 50%. Il nostro principale mercato internazionale è la Francia, dove oggi vendiamo più Nocciolata che in qualsiasi altro Paese. Questo successo è stato possibile grazie a uno storytelling autentico, basato sui nostri valori di azienda familiare, radicata nel territorio e appassionata della qualità. Più recentemente, stiamo ottenendo risultati molto positivi anche in Belgio, dove siamo appena diventati il secondo player del mercato. Negli Stati Uniti, invece, il percorso è più complesso: il solo biologico non è sufficiente e abbiamo dovuto ottenere la certificazione non-GMO per soddisfare le aspettative dei consumatori locali. Guardando al futuro, siamo incoraggiati dall’interesse che mercati emergenti come l’Est Europa, con la Polonia in prima linea, e il Middle East stanno dimostrando verso i prodotti biologici italiani. Ritengo ci sia ancora ampio spazio per le aziende italiane del biologico per conquistare i mercati internazionali.”

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