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Sempre più spesso nel mondo degli alimenti, della loro conservazione e sicurezza igienica, si chiama in causa il Challenge test (CT). Ed è un gran bene che si conosca questo tipo di studio, che lo si possa applicare a tanti alimenti e processi, anche perché è la stessa legislazione che lo propone e suggerisce.

Di fatto, il Codex Alimentarius (CXG 61-2007 Guidelines on the Application of General Principles of Food Hygiene to the Control of Listeria Monocytogenes in Foods) enuncia che “è responsabilità dell’Operatore del Settore Alimentare (OSA) controllare i pericoli e gestire i rischi”. L’OSA deve dunque definire un piano, descrivere le sue azioni e dimostrare su base scientifica l’efficacia delle misure poste in atto per mantenere a un livello di rischio accettabile per il consumatore i pericoli microbiologici – a questi ci stiamo riferendo qui–, ma anche chimici e fisici.

Nello specifico, osserviamo che il Reg. (UE) 2073/2005 e s.m.i richiama espressamente l’uso di studi sperimentali come il CT.

Che cos’è un CT?

Fra le diverse definizioni che si possono trovare, nel settore alimentare ritengo opportuno fare riferimento a quella contenuta nello standard UNI EN ISO 20976-1: 2019 [Vedi in fondo all’articolo]: “Studio sperimentale volto a valutare la capacità di uno o più microrganismi inoculati in un alimento di crescere, sopravvivere o essere inattivati nelle condizioni ragionevolmente prevedibili di processo, conservazione e di uso”.

Quando, perché e come far svolgere un CT

Innanzitutto dobbiamo valutare se vogliamo verificare un “potenziale di crescita”, ovvero se il microrganismo che ci interessa è in grado di crescere, di proliferare nel nostro alimento; in questo caso, due possono essere i protocolli applicabili: EURL Lm TECHNICAL GUIDANCE DOCUMENT on sampling the food processing area and equipment for the detection of Listeria monocytogenes V. 4 3 October 2023 (TGD), riferibile solo a Listeria monocytogenes e in alimenti Ready To Eat (RTE); oppure UNI EN ISO 20976-1 che invece può essere applicato a qualsiasi microrganismo, compresi lieviti, che non formano micelio e ad alimenti, ingredienti, semilavorati oltre che mangimi.

Se invece, la valutazione è di “potenziale di inattivazione”, ovvero se vogliamo verificare l’efficacia di un trattamento, di un processo, di un additivo nei confronti di un microrganismo, il protocollo indicato è quello di UNI EN ISO 20976-2: 2022 [Vedi in fondo all’articolo].

In ogni caso, prima di avviare uno studio di CT è bene conoscere il nostro alimento nelle sue caratteristiche intrinseche (pH, Aw etc.), ovvero inerenti alla sua composizione, ed estrinseche (confezionamento, tecnologia di processo), cioè quelle legate alla lavorazione del prodotto e al relativo ambiente. Non da ultimo, se i fattori intrinseci corrispondono a quelli noti come in grado di controllare la proliferazione del microrganismo, patogeno soprattutto, oggetto di valutazione, non è necessario generalmente condurre un CT, salvo casi specifici.

Le indicazioni sull’esecuzione delle analisi

Gli standard ISO 20976 indicano espressamente (Introduzione ISO 20976-1) la necessità di progettazione, implementazione e svolgimento da parte di personale/struttura competente negli ambiti della microbiologia alimentare, della scienza alimentare, delle trasformazioni e della statistica applicabile agli alimenti.

Il richiamo alle competenze, espressamente in merito all’aspetto analitico, è invece evidenziato nei principi generali (Cap. 4 § 4.1 ISO 20976-1) dove nuovamente si fa richiamo a questo prerequisito per garantire la robustezza dello studio; nello specifico si sottolinea che le analisi devono essere condotte nell’ambito di un sistema di Assicurazione della Qualità gestito, ad esempio, in conformità a ISO/IEC 17025. Le prove a supporto dello studio devono pertanto essere sostanzialmente accreditate al fine di garantire robustezza, competenza di esecuzione, sistema di gestione della qualità efficace e governato. Anche per le apparecchiature necessarie per lo svolgimento del CT, le indicazioni prestazionali rimandano alla necessità di dotazioni controllate, sottoposte a tarature periodiche metrologicamente riferibili e gestite nel sistema qualità.

L’accreditamento ha fra i suoi scopi principali la confrontabilità del dato per facilitare il libero scambio di merci; nello specifico ambito dei laboratori di prova, esso dimostra che il soggetto accreditato soddisfa sia i requisiti tecnici sia quelli relativi al sistema di gestione necessari per offrire dati e risultati accurati, tecnicamente validi per specifiche attività di prova, di analisi e di taratura.

UNI EN ISO 20976-1: 2019 Microbiologia della catena alimentare - Requisiti e linee guida per condurre “Challenge test” in alimenti e mangimi - Parte 1: “Challenge test” per lo studio del potenziale di crescita, lag time e il tasso di massima crescita

UNI EN ISO 20976-2: 2022 Microbiologia della catena alimentare - Requisiti e linee guida per condurre “Challenge tests” in alimenti e mangimi - Parte 2: “Challenge test” per lo studio del potenziale di inattivazione e dei parametri cinetici

Laura Scafuri Tecnologa Alimentare OTALL e consulente

 

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