È considerato il tradizionale formaggio dei pastori, di origine antichissima risalente sulla base di testimonianze storiche a epoche precedenti la conquista romana, alla civiltà nuragica. La tradizione casearia è di esclusiva origine sarda così come il latte utilizzato che deve provenire solo da ovini di razza locale.
Etimologicamente il nome richiama l’antico coagulante di derivazione vegetale, il Caglio Fiore, nello specifico il fiore del carciofo che messo in infusione dava vita a un liquido con azione coagulante. Un’altra teoria sul nome si deve al fatto che in passato venivano utilizzati di stampi in legno di castagno (o in alternativa di pero) sul cui fondo era scolpito un fiore simile all’asfodelo, spesso accompagnato dalle iniziali del produttore, che con essi ne marchiava le forme.
La dominazione romana rappresentò il periodo di maggior produzione del formaggio, sino all’avvento delle industrie casearie della fine del XIX secolo. Citato nella Convenzione di Stresa del 1951 sull’uso dei nominativi di origine e delle denominazioni dei formaggi, il Fiore Sardo fu riconosciuto a Denominazione Tipica nel 1955 e a Denominazione d’Origine dal 1974, ottenendo infine la Denominazione d’Origine Protetta (DOP) nel 1996.
Le particolari caratteristiche delle zone destinate all’allevamento ovino in Sardegna sono i pascoli naturali ricchi di essenze spontanee conferenti particolari qualità al latte inviato alla trasformazione casearia. La lavorazione del Fiore Sardo DOP riveste un’importanza enorme dal punto di vista socio economico per la popolazione isolana della pastorizia tradizionale che spesso risulta essere l’unica fonte di reddito in zone prive di risorse alternative.
Tecnologia produttiva
Come da disciplinare, la DOP Fiore Sardo è riservata al formaggio a pasta dura, cruda, di forma costituita da due tronchi di cono schiacciati, a basi orizzontali uniti per la base maggiore. La zona di produzione comprende l’intero territorio della Sardegna. Il latte deve provenire da animali di razza sarda. Si tratta di un formaggio ottenuto da latte intero, crudo di pecora. Può essere caseificato separatamente il latte della munta serale e della mattina o miscelando il latte delle due munte. Il latte può essere inoculato con fermenti lattici autoctoni e dell’area di produzione. Il latte crudo deve avere un pH intorno al 6,6, percentuale media di grasso tra 6,2 e 7,5, percentuale media di proteine tra 5,5 e 6,3.
Sequenza operativa
Coagulazione: il latte dopo aver riposato per poco tempo dopo la mungitura viene filtrato e versato nella caldaia di coagulazione. Viene coagulato con l’aggiunta di caglio in pasta di agnello e/o capretto alla temperatura di circa 34°C nella stagione primaverile estiva e di circa 36°C nel periodo invernale. Per la coagulazione di 100 litri di latte si usano quantità comprese tra 35 e 40 grammi di pasta di caglio e comunque tale da determinare la coagulazione in 12-17 minuti (tempo di presa). Il successivo rassodamento della cagliata avviene tra 20-28 minuti (tempo di indurimento).
- Rottura della cagliata: avviene con uno strumento chiamato “chiova“, è molto energica e si protrae per circa tre minuti così da ridurre la stessa in grani assimilabili a un chicco di miglio. Ultimate le operazioni di rottura la pasta viene lasciata riposare e depositare sul fondo della cagliata per almeno 5 minuti.
- Messa in forma della pasta: vengono prelevate porzioni di pasta e sistemate entro lo stampo, le Pischeddas, contenitore a tronco conico che dà al formaggio il tipico scalzo a forma di schiena di mulo. In passato veniva realizzato utilizzando il legno di pero o comunque poco poroso, in cui veniva inciso un fiore sul fondo, riconducibile alla famiglia produttrice del cacio. Le Pischeddas sono due, dove il formaggio viene continuamente ribaltato prima da una parte e poi dall’altra, proprio per dare la tipica forma allo scalzo. Questa operazione viene ripetuta fino all’ottenimento della forma.
- Rivoltamenti: completata la modellatura del formaggio iniziano le operazioni di rivoltamento e di rifinitura delle forme poste sul tavolo spessore per il completamento dello spurgo del siero. Durante questa fase i formaggi subiscono ulteriori rivoltamenti.
- Scottatura: l’ultima fase della lavorazione è la scottatura, che consiste nel favorire la formazione di una crosta più resistente mediante l’uso di scotta e/o acqua calda.
- Salatura: completato lo spurgo le forme vengono poste in salamoia satura. Il piatto della forma che fuoriesce dal bagno salino può essere ricoperto con sale. La salatura si protrae per circa 36-48 ore. Terminata questa fase le forme vengono estratte dal bagno salino e avviate alla stagionatura.
- Stagionatura: prevede tre fasi: la prima fase avviene subito dopo la salatura. Il formaggio è posto ad asciugare sopra un graticcio situato nello stesso locale di trasformazione o in un locale attiguo. Quindi subisce l’affumicatura per circa due ore al giorno alla temperatura di 18-20°C. Per la produzione del fumo vengono utilizzati rami freschi delle arbustive ed erbacee tipiche. Questa fase dura circa due settimane in questo periodo i formaggi subiscono ripetuti rivoltamenti. L’affumicatura ha origini antichissime. Infatti il Fiore Sardo veniva prodotto nel pinnetto, ovvero la tipica capanna dei pastori della Sardegna centrale, costituita da una base circolare di pietre e una copertura di frasche su un telaio di rami d’albero piuttosto resistenti. Nel pinnettu, il pastore viveva durante la transumanza, produceva il cacio, cucinava, si riscaldava e faceva asciugare le forme. Queste venivano posizionate su dei graticci sopra il focolare e di conseguenza affumicati in maniera naturale.
La seconda fase della stagionatura avviene nel locale attiguo a quello della prima fase e dura circa tre mesi alla temperatura di 10-15°C. Sono previsti frequenti rivoltamenti della forma.
La terza e ultima fase avviene in apposite cantine di maturazione con temperatura non superiore ai 15°C e umidità relativa pari a 80-85%. I formaggi subiscono frequenti rivoltamenti accompagnati da oliatura della crosta con un’emulsione composta da olio d’oliva, aceto di vino e sale da cucina.
Caratteristiche del prodotto finito
La DOP Fiore Sardo deve avere:
- peso da 1,5 a 4 kg con variazioni più in meno legate alle condizioni tecniche di produzione;
- crosta da giallo carico a marrone scuro;
- pasta bianca o giallo paglierino;
- sapore più o meno piccante a seconda dello stadio di maturazione;
- grasso sulla sostanza secca minimo 40%.
Il formaggio Fiore Sardo è usato, oltre che da tavola, anche da grattugia se la stagionatura si è protratta per almeno sei mesi.
Il presidio Slow food
Il Presidio è nato per salvaguardare la produzione pastorale in alcuni piccoli comuni della Barbagia, quali Gavoi, Ollolai, Ovodda, Lodine, Fonni e Orgosolo (provincia di Nuoro). Qui esiste ancora una caseificazione artigianale portata avanti da una ventina di allevatori, in particolare di pecore di razza Sarda, che producono alcune decine di quintali di pecorino a latte crudo intero, senza l’utilizzo di fermenti industriali e con cappatura naturale e caglio autoprodotto. La produzione avviene dal mese di dicembre al mese di giugno, la stagionatura si protrae per almeno quattro mesi.
Il Presidio Slow Food ha gentilmente concesso tutte le foto presenti all’interno del presente articolo.
Martina Halker Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica