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È un formaggio a pasta dura, ottenuto con latte ovino in provincia di Potenza, nell’area nord-occidentale della Basilicata, nella fascia appenninica che dal Monte Vulture arriva al Monte Li Foy fino ad arretrare alla Montagna Grande di Muro Lucano. Si tratta di un territorio, caratterizzato da terreni vulcanici e da pascoli naturali ricchi di essenze spontanee aromatiche. Ha ottenuto il riconoscimento DOP nel 2007.

Il Pecorino di Filiano DOP è ottenuto con latte intero di pecore di razza Gentile di Puglia e di Lucania, Leccese, Comisana, Sarda e loro incroci, la cui alimentazione è costituita principalmente dal pascolo, foraggi freschi e da fieni, con eventuale integrazione con granella di cereali e leguminose prodotti nell’areale DOP. Nell’alimentazione è vietato l’utilizzo di prodotti derivati di origine animale, di insilati e di piante o parti di piante (semi) di trigonella, tapioca, e manioca. È vietato anche utilizzare alimenti di origine animale o vegetale di qualsiasi tipo geneticamente modificati.

Il Pecorino di Filiano DOP, per quanto prodotto tutto l’anno, ha il suo apice produttivo nel periodo primaverile e nella prima parte dell’estate, per ragioni legate sia alla tradizione che agli aspetti produttivi: i parti delle pecore sono programmati per lo più nei mesi di dicembre e gennaio, sia per vendere gli agnelli nel periodo della Pasqua sia per consentire alle pecore di alimentarsi nei pascoli primaverili delle montagne del comprensorio del Pecorino di Filiano (Monte Vulture, Monte Santa Croce, Monte Li Foy etc.). In tal modo si consente al bestiame di produrre la maggior quantità di latte proprio nel periodo di massima disponibilità di essenze foraggere derivanti dal pascolo naturale. Quasi l’80% degli allevatori ha meno di 50 capi. La manodopera è prettamente familiare e il latte viene trasformato nella quasi totalità dei casi in piccoli caseifici artigianali. La resa del latte in Pecorino di Filiano DOP varia dal 15 al 18% a seconda dei periodi dell’anno. 

La storia

L’origine del Pecorino di Filiano è antica e documentata in testi del 1600. La parola “Filiano” deriverebbe dall’abbondanza di lana filata dalle donne, a testimonianza della presenza di tanti allevamenti di pecore. Come raccontato nel Disciplinare di produzione, con la conquista romana si hanno esempi dell’importanza dell’allevamento ovino con la delimitazione di alcuni assi della viabilità pastorale: la via Appia passava nell’areale delimitato per questo formaggio e costituiva parte dei vecchi tratturi regi utilizzati dai pastori durante la transumanza. Durante l’età Sveva e Angioina, la Valle di Vitalba assume un importante ruolo produttivo per il Regno di Napoli e i prodotti caseari vengono spesso commercializzati nella capitale. I Doria, feudatari della zona del Vulture, organizzano le strutture produttive stabilendo masserie specializzate per gli ovini nel comune di Melfi. Oltre all’allevamento si svilupparono stabilimenti per la trasformazione del latte e della lana. Nei mesi primaverili e estivi venivano, e ancora oggi lo sono, prodotti i formaggi, in particolare il Pecorino di Filiano, con latte che beneficia di pascoli con moltissime essenze pascolive e acque ricche di sali minerali grazie alle falde vulcaniche del Monte Vulture. La caseificazione del latte avveniva in grotte naturali o locali interrati artificiali, che si possono vedere tutt’ora in molte aree della zona di produzione. La stessa stagionatura avviene, come nel passato, in grotte naturali in tufo.

In “Statistica del Regno di Napoli”, nella parte che riguarda la sussistenza della popolazione del circondario di Avigliano, di cui Filiano era frazione fino al 1952, viene riportato che il cacio era quotato a cent. 88. Nella sezione relativa alla pastorizia si evidenzia che “si fa uso de’ merinos per rinnovare la qualità buona d’origine. Sono d’indole mansuete, e di mediocre taglia. Per i prodotti della pastorizia il cacio di pecore e capre conta 400 forme, de’ quali 140 consumansi nel paese [...]”.

Filiano formaggio

Il processo produttivo

Il processo produttivo del Pecorino di Filiano DOP non tradisce la tradizione.

  • Lavorazione del latte: il latte deve provenire da una o due mungiture, in genere quella serale e quella del mattino successivo. La lavorazione del latte deve essere eseguita entro 24 ore dalla prima mungitura. È consentita la sua refrigerazione. Il latte crudo, opportunamente filtrato con appositi setacci e/o filtri (da lavare dopo ogni filtraggio con acqua calda e prodotti consentiti per assicurare una adeguata igiene del latte) in tela quando munto a mano, è riscaldato tradizionalmente in caldaie, fino alla temperatura massima di 40°C, col fuoco a legna o mediante altre forme di energia.
  • Formazione della cagliata: alla temperatura di 36-40°C viene aggiunto caglio di capretto o agnello in pasta, prodotto artigianalmente da animali allevati nell’area DOP, secondo una modalità di preparazione stabilita dal disciplinare. I capretti o gli agnelli vanno allevati in recinti dove non vengono a contatto con alimenti e ricevono solo il latte materno. A 25-40 giorni di età si procede alla mattazione prelevando i caglioli che vanno gonfiati e messi ad asciugare all’aria con eventuale aggiunta di latte intero crudo di capra o pecora. I caglioli asciutti vanno riposti stratificati con sale da cucina in cassette che ne permettono lo sgrondo per circa 15 giorni. Dopo la sosta sotto sale, vanno asciugati per circa 60 giorni, raccolti, puliti togliendo le parti di grasso e impurità, tagliati a strisce sottili e macinati. Alla pasta ottenuta, ben mescolata, vengono aggiunti 150 grammi di sale fino per chilogrammo di pasta. Il tutto si reimpasta e si conserva in barattoli di vetro ben chiusi, in luogo fresco e al riparo dalla luce.
  • Rottura, estrazione della cagliata e messa in forma: una volta formata, la cagliata deve essere rotta in modo energico, con l’ausilio di un mestolo di legno, detto “scuopolo” o “ruotolo” con una protuberanza all’apice, fino a ottenere grumi delle dimensioni di un chicco di riso. Dopo pochi minuti di riposo sotto siero, la cagliata viene estratta e inserita in forma nelle caratteristiche “fuscelle” di giunco dette “fuscedd’” o in altro materiale idoneo per prodotti alimentari con la caratteristica sagomatura tipo giunco. La cagliata viene “frugata”, mediante pressatura con le mani, per favorire la fuoriuscita del siero. Le forme ottenute vengono immesse nella scotta a temperatura non superiore a 90°C fino a un massimo di 15 minuti.
  • Salatura: viene effettuata sia a secco che in salamoia. Nel primo caso si protrae per diversi giorni, variabili secondo le dimensioni della forma, con aggiunta diretta di sale; nell’altro caso il formaggio permane immerso in salamoia satura per 10-12 ore per chilogrammo di forma.
  • Maturazione: il formaggio va messo a maturare nelle caratteristiche grotte in tufo o in idonei locali per la stagionatura dei formaggi a una temperatura di 12-14°C e un’umidità relativa del 70-85% per almeno 180 giorni. A partire dal 20° giorno di maturazione la crosta dei pecorini può essere curata con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino.

Caratteristiche del prodotto finito

Il Pecorino di Filiano DOP può essere utilizzato come formaggio da tavola e da grattugia e deve avere le seguenti caratteristiche:

- la forma deve essere cilindrica a facce piane, con scalzo diritto o leggermente convesso;

- il diametro delle facce può variare da 15 a 30 cm e l’altezza dello scalzo da 8 a 18 cm;

- il peso deve essere compreso da 2,5 a 5 kg in relazione alle dimensioni della forma;

- il colore della crosta con i caratteristici segni della fuscella varia dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate e trattate superficialmente con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino, tramite uno sfregamento superficiale effettuato a mano;

- la pasta ha una consistenza compatta con presenza di minute occhiature non regolarmente distribuite e un colore che varia dal bianco nei pecorini giovani al paglierino in quelli più stagionati;

- il sapore che inizialmente è dolce e delicato diviene leggermente piccante quando il formaggio ha raggiunto il periodo minimo di stagionatura, diventando più accentuato con il protrarsi della stessa;

- il grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 30%.

Martina Halker Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica

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