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La pietra dello scandalo va collocata nel 2020, quando gli emendamenti presentati al Parlamento Europeo vennero bocciati: all’assemblea era stata sottoposta la spinosa questione relativa alla confondibilità dei prodotti carnei con i prodotti a base di proteine vegetali che, sfruttando in modo asseritamente illegittimo il traino dei primi, stavano prendendo piede tra i consumatori.

Risale infatti al 2017 la decisione della Corte di Giustizia (nella causa C-422/16) che aveva messo un punto fermo nel settore delle denominazioni di prodotti quali latte, crema di latte o panna, burro, formaggio e yogurt disponendo che dette denominazioni fossero prerogativa esclusiva dei prodotti di origine animale, con ciò garantendo ai produttori condizioni di concorrenza leale e ai consumatori la corrispondenza del prodotto così denominato alle relative norme di qualità.

La lotta del settore delle carni

Da qui è originato il movimento che ha spinto per creare una distinzione anche nel settore delle carni, ove negli ultimi anni si è registrata una proliferazione di prodotti a base di proteine vegetali che, con denominazioni analoghe o confondenti, andrebbero a replicare la situazione verificatasi nel settore lattiero-caseario. È poi nel 2020 che vengono presentati, votati e infine respinti diversi emendamenti al Reg. 1308/2013 sulla PAC, il più noto dei quali è sicuramente l’emendamento 165, col quale si sarebbero tra l’altro volute riservare le denominazioni: “[...] che rientrano nell’articolo 17 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 e che sono attualmente utilizzati per i prodotti a base di carne e le preparazioni di carne …. esclusivamente ai prodotti contenenti carne. Tali denominazioni comprendono, ad esempio: bistecca, salsiccia, scaloppina, burger e hamburger”.

La bocciatura, tuttavia, non ha fermato le istanze del mondo delle carni che hanno proseguito la loro battaglia sul fronte interno, riuscendo a sollecitare la presentazione di un disegno di legge assegnato in commissione agricoltura a gennaio 2023 e noto come legge di contrasto al c.d. meat sounding.

Il disegno di legge è strutturato su 7 articoli e dalla relazione illustrativa emerge che scopo primario è quello di “tutelare le produzioni zootecniche” da un fenomeno “tanto disdicevole quanto diffuso: usare denominazioni di vendita tradizionalmente associate alla carne per sfruttarne la notorietà e le analogie che questa suscita nel consumatore”. Secondo i firmatari, infatti, il richiamo di denominazioni tradizionalmente usate nel settore carneo per prodotti a base di proteine vegetali crea un ingiustificato trascinamento di notorietà e fiducia che coinvolge le metodologie produttive, le conoscenze in tema di allevamento, l’impegno e la professionalità circa le tecniche di lavorazione delle carni o stagionatura dei salumi che non potrebbero essere utilizzate tal quali nel settore latamente definito “veg”.

Il disegno di legge

Così l’art. 1 del disegno di legge, disponendo che lo stesso si applica agli alimenti contenenti proteine vegetali legalmente realizzati e commercializzati, richiama e nobilita l’elevato valore culturale, socio-economico e ambientale del patrimonio zootecnico da tutelare, oltre alla complementare e contemporanea tutela della salute umana, degli interessi dei consumatori e del loro diritto all’informazione.

L’art. 2 riporta le definizioni di riferimento, in particolare quella di “proteine vegetali” (proteine prodotte o derivanti da organismi appartenenti a tutti i regni diversi dal regno animale), “alimenti di origine animale” (prodotti di origine animale e prodotti alimentari da essi derivati), “denominazione legale”, “nome descrittivo”, “prodotti trasformati” (secondo la definizione dell’art. 2 §1 lett. o) Reg. (CE) 852/2004) e “ingrediente”.

Dopo le premesse introduttive con gli articoli successivi si passa al merito della disciplina, stabilendo quali siano le corrette designazioni dei prodotti che contengono proteine vegetali al fine di non indurre in errore il consumatore rispetto ai termini usati per gli alimenti di origine animale. Nel dettaglio, per i prodotti trasformati contenenti proteine vegetali è vietato utilizzare denominazioni legali riferite a carne o prodotti carnei, riferimenti a specie animali o relative parti anatomiche o morfologiche, terminologie proprie della macelleria, salumeria, pescheria nonché nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali. Ciò non impedisce l’aggiunta di proteine vegetali, aromi e ingredienti ai prodotti di origine animale e sussiste specifica deroga ai divieti laddove nel prodotto “vegetale” siano presenti proteine animali e il nome adottato non induca comunque in errore il consumatore.

scatoleL’articolato del provvedimento prosegue con la necessaria quanto critica previsione sul mutuo riconoscimento: va da sé che, assente una disciplina armonizzata o comunitaria di riferimento, ogni stato membro può decidere della gestione dei prodotti a base di proteine vegetali e quindi nel mercato interno potrebbero rinvenirsi alimenti che, legittimi in altre nazioni, non lo sarebbero alla luce della normativa che si chiede di approvare e che, altrettanto necessariamente, non potrebbero essere interdette al commercio o alla vendita, sebbene il testo di legge indichi quale presupposto del riconoscimento che lo stato di origine deve comunque riconoscere “gli obiettivi generali di sostenibilità finalizzati alla tutela dell’ambiente e della salute umana, animale e vegetale e agli interessi dei consumatori” (art. 6).

Infine, per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, è previsto che alla violazione del divieto di commercializzazione di alimenti non conformi alle previsioni sopra riportate conseguano sanzioni amministrative da 500 a 7000 euro, che pare debbano essere quantificate in relazione alla quantità del prodotto contestato.

La proposta di legge raccoglie senza dubbio istanze rilevanti, che coinvolgono il settore non solo in Italia, ma anche all’estero, ove in taluni casi esistono già normative specifiche che consentono di separare le indicazioni relative alle carni dai prodotti vegetali. La ratio è sicuramente comprensibile laddove si faccia riferimento alle equilibrate condizioni di concorrenza sul mercato, perimetrando le diciture che per tradizione attengono ai prodotti di origine carnea o ittica al relativo ambito di mercato; non vanno nascoste tuttavia anche talune criticità sottolineate fin da subito dai detrattori della proposta. Vi è infatti chi ritiene che l’impostazione del disegno di legge restituisca la descrizione di un consumatore sprovveduto e inconsapevole di fronte a prodotti che ormai hanno colonizzato il mercato e dei quali sono non solo note ma talvolta precipuamente ricercate le specifiche in termini di ingredientistica e composizione.

Un ulteriore aspetto oggetto di contrasto è la velata rappresentazione della non costante adeguatezza nutrizionale dei prodotti di proteine vegetali rispetto alla completezza del prodotto zootecnico: su questa interpretazione il dibattito è forte poiché, a fronte di un mercato in continua evoluzione e molto diversificato, la gamma dei prodotti trasformati con proteine vegetali è assai ampia e non necessariamente inferiore per qualità e composizione agli alimenti di origine animale.

A ciò si aggiunga che nessun accenno è stato fatto a temi molto sentiti in sede comunitaria e globale, ovvero la sostenibilità delle produzioni zootecniche e la ritenuta opportunità di riduzione dei consumi medi attuali di carne e che non pare confacente al contesto il riferimento al “cibo sintetico”, accenno probabilmente inserito senza pretesa di specificità.

Sul piano più strettamente giuridico, infine, la natura amministrativa delle sanzioni ha sollevato alcune riserve laddove il progetto di legge si pone, tra gli altri, l’obiettivo di un elevato standard di tutela della salute umana, bene primario di natura costituzionale che meglio dovrebbe essere presidiato, se realmente minacciato o leso, da sanzioni penali per le quali è espressa solamente la riserva in apertura dell’art. 7.

Avv. Ingrid Riz
Studio Legale Gaetano Forte

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