In attesa della pronuncia sulla legittimità dei dazi USA, principale mercato di destinazione dei nostri prodotti, non mancano gli elementi di preoccupazione per i nostri esportatori. Il nuovo Report Wine Monitor di Nomisma mostra i buoni risultati dei vini italiani: nei 12 principali mercati internazionali la crescita è stata del +1,5% a valore e del +2,1% a volume.
Per la filiera vitivinicola italiana il momento è particolarmente delicato con il rischio dazi e le conseguenze sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. L’analisi di Nomisma mette in luce che a livello globale manca un andamento univoco: nella prima metà dell’anno i singoli Paesi monitorati evidenziano dinamiche differenti, anche se complessivamente i dodici principali mercati internazionali fanno registrare una crescita del +1,5% a valore e del +2,1% a volume.
Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato di riferimento, ma la fine dell’accumulazione di scorte da parte degli importatori in previsione dell’entrata in vigore dei dazi disposti dall’amministrazione Trump ha visto un secondo trimestre in calo: se infatti fino a marzo la crescita delle importazioni aveva segnato un +22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il cumulato aprile-giugno ha invece registrato una riduzione del -7%.
Si tratta di una tendenza che ha coinvolto anche gli acquisti di vini italiani: la variazione per il primo semestre appare positiva (+2,5%) solo grazie all’ accumulazione avvenuta nei primi tre mesi dell’anno.
“In attesa della pronuncia della Corte d’Appello USA sulla legittimità dei dazi, a seguito della causa promossa da alcune aziende locali tra le quali l’importatore di vini italiani Victor Schwartz, è evidente che le nostre aziende vitivinicole siano obbligate a monitorare le dinamiche in atto a livello globale per individuare altri mercati in grado di assorbire le nostre produzioni” – commenta Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor.
Gli altri Paesi
Per quanto riguarda gli altri mercati di riferimento, anche in Canada i vini italiani hanno “scontato” l’effetto dazi di Trump ma, al contrario nel primo semestre dell’anno le importazioni dall’Italia sono cresciute di quasi l’11% beneficiando della sostituzione “a scaffale” dei vini statunitensi (come ritorsione ai provvedimenti tariffari di Trump), crollati di oltre il 65%.
Una performance molto positiva per i vini del Bel Paese si registra anche in Germania (+10,3% a valore), in evidente recupero rispetto all’anno scorso. Al contrario, il Regno Unito fa segnare una flessione nell’import di vini italiani del -7% a valore, così come Svizzera, Corea del Sud, Norvegia e Cina, che hanno registrato una contrazione delle importazioni come risposta al rallentamento della domanda interna. In positivo, invece, Giappone e Brasile.
Le categorie
Rispetto alle singole categorie di vini, da gennaio a giugno 2025 rallenta l’ascesa degli spumanti italiani, con una crescita cumulata nei 12 mercati pari a +1% a valore e +6% a volume: Giappone, Stati Uniti e Cina sono i tre mercati che registrano le crescite più dinamiche. Una fotografia di segno opposto, invece, è quella del Regno Unito (-6,6% a valore), Francia (-2,4%) e Australia (-4,4%).
Sul fronte degli acquisti di vini fermi e frizzanti italiani la Germania, dopo un 2024 in negativo, mette a segno un bel recupero (+14,2% a valore), unitamente a Canada, Australia e Brasile, evidenziando performance positive rispetto ad altri mercati come Regno Unito (-8,1%) e Cina (-10,5%).
Analisi e prospettive
“Il rischio di una contrazione del mercato statunitense potrebbe avere un impatto significativo per l’export vitivinicolo italiano, anche alla luce di un trend nei consumi interni che già da qualche anno mostra segnali di rallentamento. Una sua flessione non potrebbe essere facilmente compensata, almeno nel breve periodo, dalla crescita di altri mercati, che spesso presentano dinamiche di sviluppo più lente e minori capacità di assorbimento. È proprio per questo che diventa fondamentale per le nostre imprese iniziare a guardare con più attenzione a nuove aree geografiche di espansione, diversificando il più possibile i mercati di sbocco. È però necessario essere consapevoli del fatto che il processo di radicamento commerciale al di fuori dei mercati consolidati – come appunto quello statunitense – richiede tempi medio-lunghi, oltre che investimenti mirati e strategie di lungo respiro” – conclude Denis Pantini.