Per anni nelle aule del Parlamento europeo si è dibattuto dell’annoso tema della c.d. Pratiche Sleali nella filiera agroalimentare: una serie di prassi non corrette che si sono sviluppate nella relazione tra fornitori e compratori, che hanno molto spesso prodotto un effetto a cascata sugli operatori a monte della filiera, con ripercussioni negative soprattutto nel settore agricolo. Situazione che ha avuto effetti sui prezzi, sull’efficienza e sulla distribuzione dei prodotti.

L’iter legislativo ha portato all’emanazione della Direttiva 2019/633 attuata in Italia con il Decreto Legislativo n. 198/2021 pubblicato sulla G.U. del 30.11.2021 e in vigore dal 15 dicembre 2021.

In modo molto chiaro il primo comma dell’art. 1 dichiara che: “Il decreto reca disposizioni per la disciplina delle relazioni commerciali e per il contrasto delle pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra acquirenti e fornitori di prodotti agricoli ed alimentari, definendo le pratiche commerciali vietate in quanto contrarie ai principi di buona fede e correttezza ed imposte unilateralmente da un contraente alla sua controparte, razionalizzando e rafforzando il quadro giuridico vigente nella direzione della maggiore tutela dei fornitori e degli operatori della filiera agricola e alimentare rispetto alle suddette pratiche”.

L’esplicitazione dei concetti di buona fede e correttezza, della tutela dei fornitori manifesta il significato e la finalità di garanzie che la normativa intende raggiungere.

Come si ricorderà il precursore del D.Lgs. 198//21 è stato l’articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 la cui disciplina, oggi per ragioni di sistematicità, è confluita nel Decreto Legislativo in esame, con gli adeguamenti imposti dal legislatore europeo, specie per quanto concerne l’individuazione specifica delle singole pratiche commerciali sleali vietate e sanzionate di conseguenza.

Le disposizioni della norma si applicano ai contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari conclusi a decorrere dalla sua entrata in vigore (15.12.2021). I contratti di cessione in corso di esecuzione alla predetta data devono essere resi conformi al Decreto Legislativo entro sei mesi dalla stessa.

Le pratiche sleali

Qual è l’ambito di applicazione?

Il decreto si applica alle “cessioni di prodotti agricoli ed alimentari eseguite da fornitori che siano stabiliti nel territorio nazionale, indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti” (art. 1 comma 2). Le numerose definizioni riprendono in gran parte quelle già contenute nell’art. 62 e nel suo decreto attuativo (n. 199 del 2012). L’art. 3 fissa gli elementi essenziali dei contratti di cessione tra cui uno degli aspetti principali è l’obbligo della forma scritta e suoi equipollenti nonché la durata minima che deve essere di 12 mesi. Il contratto deve inoltre definire le quantità, le caratteristiche del prodotto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento.

Quali sono le pratiche sleali?

La nuova normativa elenca esplicitamente le pratiche commerciali sleali, distinguendo quelle sempre vietate (cfr. “blacklist”), da quelle che si presumono sleali e vietate se applicate in mancanza di un chiaro e univoco accordo sulle stesse previsto nel contesto del contratto di fornitura concluso tra le parti o in altro accordo successivo (“greylist”). Al comma 2 viene ripreso il contenuto del comma 3 dell’abrogato art. 62 che disciplina gli interessi applicabili in caso di ritardo nei pagamenti dei corrispettivi dei contratti di cessione dei prodotti agroalimentari. 

Le attività di contrasto e le sanzioni

Chi controlla?

L’ICQRF è designato quale autorità nazionale di contrasto deputata all’attività di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui agli articoli 3, 4 e 5 del decreto e all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative (ex l. 689/81). Di particolare interesse il potere di imporre l’inibizione della pratica scorretta che soddisfa l’esistenza sempre più sentita dal legislatore di attuare forme di compliance anziché forme di repressione. Anche il sistema della denuncia che può essere presentata da organizzazioni di fornitori, associazioni e altre organizzazioni risponde all’obiettivo di tutela e di iniziativa proattiva della vittima della pratica scorretta.

Quali sono le sanzioni?

Il decreto prevede, salvo che il fatto non costituisca reato e a seconda della gravità del fatto, sanzioni proporzionali che vengono calcolate come percentuale (fino al 5%) del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento, prevedendo in ogni caso sanzioni minime. Restano salve le azioni in giudizio per il risarcimento del danno derivante dalle violazioni del decreto. 

Conclusioni

La nuova normativa sulle pratiche commerciali scorrette ha una finalità di perequazione nell’ambito della filiera molto importante e pregevole. L’aspetto più critico è sempre quello dell’individuazione delle pratiche scorrette, della loro emersione attraverso la denuncia che non sempre potrebbe scattare a causa di una serie di situazioni commerciali che potrebbero scoraggiare gli operatori. Ci si augura che la richiesta di adeguamento degli operatori possa contribuire a eliminare il fenomeno in oggetto.

 

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