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La riproducibilità della reologia del coagulo, punto chiave per avere formaggi con le proprietà attese, dipende dall’interazione tra qualità del latte in caldaia, pH, temperatura e caglio. L’influenza del caglio su resa e proprietà del formaggio (proteolisi e struttura) dipende anche dalla sua attività aspecifica sulle caseine αS e β.

L’espressione quantitativa di tale attività secondaria, positiva o negativa che sia considerata, dipende dalle interazioni tra proprietà del preparato enzimatico, modi di caseificazione (pH, massima temperatura di processo che nel caso delle paste cotte e/o filate è superiore a quella di coagulazione) e condizioni di stagionatura del formaggio.

La quasi totalità dei formaggi italiani DOP e IGP prevede l’uso di cagli di origine animale. Solo alcuni continuano la tradizione dei cagli vegetali, generalmente da Cynara cardunculus. Tutti, eccetto la Burrata di Andria IGP, escludono invece l’uso di chimosine di fermentazione o degli ormai classici coagulanti microbici estratti da brodi di fermentazione di funghi, per quanto rispondano all’esigenza di estendere il mercato del formaggio ai consumatori vegetariani.

Perché questo rifiuto collettivo, che non coinvolge l’altra metà del cielo, i formaggi comuni? Le risposte possono essere tante e diversificate in funzione della varietà di formaggio e del tipo di enzima considerato.

L’uso di chimosine di fermentazione si scontra probabilmente con il timore che l’immagine tradizionale dei formaggi DOP o IGP sia sconfessata da un’incursione di modernità, per quanto abbia ormai più di 30 anni.

L’uso di coagulanti microbici sconta invece il timore di una potenziale maggiore attività proteolitica aspecifica e rischio amaro. Si trascura che la minore ritenzione in cagliata rispetto a chimosina e pepsina consente di coagulare il latte a pH più acidi, usando quindi meno enzima o accelerando i tempi di processo, e riducendo comunque i costi. Non pochi fra i formaggi di pasta granulosa a lunga stagionatura usano da anni coagulanti microbici senza andare incontro a formazione di amaro. Nei formaggi a pasta filata freschi, i coagulanti microbici possono essere totalmente inattivati dalla filatura, a maggiore ragione quando fatta a vapore.

Siamo quindi davvero sicuri che la naturalità del caglio sia ancora una virtù da preservare intatta? In che misura le differenze talvolta osservate tra formaggi ottenuti usando i nuovi coagulanti rispetto al caglio animale sono imputabili alla diversità degli enzimi o all’incapacità di adeguare la tecnologia alla loro diversità? Adeguare la tecnologia sicuramente rappresenta un costo, talvolta superiore ai benefici possibili. Altre volte i margini economici dell’azienda sono ancora tali che giustificano la pigrizia dell’abitudine. Ogni azienda ha certamente la sua specifica risposta, ma perché non lasciare libertà di scelta anche nell’ambito di DOP e IGP, alla condizione ovvia che il formaggio rispetti i requisiti di qualità stabiliti dal disciplinare?

Germano Mucchetti
Professore Ordinario Scienze e Tecnologie Alimentari

 

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