Secondo dati facilmente reperibili via internet gli assetti bancari delle prime dieci banche mondiali sommano a circa 40 trilioni di USD. Le prime quattro cinesi ne sommano 22. La quinta e la sesta sono statunitensi con circa 7. Completano la prima decina: una banca inglese e una giapponese con quasi 6, e due francesi con altri 5 trilioni di USD.
Passando al quadro europeo (cambia la moneta di riferimento, ma non i rapporti): le prime dieci banche accumulano assetti per oltre 17 trilioni di euro. Le prime quattro ne mettono insieme oltre 9, e la prima banca italiana con poco più di un trilione è la nona della lista.
Il quadro italiano assegna quindi alle prime dieci banche circa 3 trilioni di euro, dei quali 2,5 alle prime quattro.
Sia ben chiaro questa breve nota non vuole essere una sorta di elegìa al gigantismo bancario con poteri finanziari superiori a intere nazioni. Tanto meno un inno al nanismo finanziario dei quattro o cinque milioni di capannoni italiani.
Chi scrive desidera solo sottolineare le scarse risorse finanziarie delle società agroalimentari italiane rispetto ad altre straniere.
Senza sciovinismi, basterebbe rammentare le acquisizioni di (elenco incompleto, in ordine alfabetico) alcune aziende, tra le quali: Algida, Ambrosi, Birra Peroni, Cademartori, Carapelli, Castelli, Eridania, Galbani, Gancia, Invernizzi, Italgel, Locatelli, Osella, Parmalat, Rigamonti, San Pellegrino, Scaldasole, Sperlari, Star, Stock, Simmenthal, e molte altre.
Certamente tra società italiane non mancano accorpamenti, fusioni, acquisizioni – senza offese, spero – con investimenti quasi sempre limitati. Mentre quando le trattative superano certe soglie, al tavolo si siedono i negoziatori con adeguate risorse finanziarie. Almeno sino ad oggi.
Del resto, la buona etica vuole che le dimensioni societarie e le relative finanze siano proporzionate al mercato aziendale di riferimento (locale, provinciale, regionale, nazionale, internazionale). Ognuno sceglie la propria posizione nel mercato – oggi – globale e agisce come può.
Ovviamente, senza dimenticare le economie di scala; le incidenze dei costi fissi e di quelli variabili; le tecnologie impiantistiche e i loro ammortamenti; la selezione, gli acquisti e i controlli delle materie prime; l’assicurazione e il controllo della qualità; il marketing e la vendita; la logistica della distribuzione e la concorrenza. Da ultimo ma non per ultimo: l’incasso del venduto!
Come dire: la copertura finanziaria è solo l’inizio, il bello resta sempre in divenire! O, no?
Vincenzo Bozzetti