Con il termine “greenwashing” si intende l’impiego di asserzioni ambientali ingannevoli o informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili. Tra i divieti, l’esibizione di marchi di sostenibilità non basati su un sistema di certificazione o non stabiliti da autorità pubbliche, e le asserzioni ambientali generiche a meno che non possa essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali.

Salutata come un punto di partenza per il contrasto al greenwashing, la Direttiva (UE) 2024/825 interviene, per quanto di interesse in questa sede, sulla Direttiva 2005/29/CE attuata in Italia con il Codice del Consumo, definendo una serie specifiche di pratiche commerciali sleali (“black list”). 
Il legislatore italiano dovrà recepire la direttiva entro il 27 marzo 2026 e le relative disposizioni nazionali dovranno essere applicate dal 27 settembre 2026. La normativa nasce con l’obiettivo di obbligare gli operatori economici a fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili per permettere ai consumatori di prendere decisioni di acquisto informate, contribuendo in tal modo a modelli di consumo più sostenibili.

La black list
Saranno inserite nella “black list” delle pratiche commerciali sleali:

  • esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche;
  • formulare asserzioni ambientali generiche di cui non si è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione;
  • usare un claim ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore stesso;
  • asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra;
  • vantare caratteristiche comuni ossia presentare come propri e differenziali requisiti imposti per legge per tutti i prodotti della stessa categoria.

Sarà comunque possibile sanzionare una pratica commerciale come sleale anche se tale particolare pratica non è elencata nella “black list” sopra citata; ciò sulla base dell’art. 6, par. 1, Dir. 2005/29/CE (corrispondente all’art. 21 del Codice del Consumo) relativo alle Azioni ingannevoli, ai sensi del quale: “È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”; è infatti modificato aggiungendo le caratteristiche ambientali e sociali e gli aspetti relativi alla circolarità quali elementi che possono essere oggetto di pratiche ingannevoli.

Le comparazioni
Disposizioni particolari sono applicate alle comunicazioni comparative: gli operatori economici sono tenuti a fornire ai consumatori informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni. I raffronti devono essere infatti oggettivi, in particolare grazie al raffronto di prodotti che svolgono la medesima funzione, all’impiego di un metodo comune e di assunti comuni e al raffronto fra caratteristiche rilevanti e verificabili dei prodotti in questione.

Marchi di sostenibilità
Come visto, è vietata l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche. Nei casi in cui l’esibizione di un marchio di sostenibilità comporti una comunicazione commerciale che suggerisce o dà l’impressione che il prodotto abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure sia meno dannoso per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti, tale marchio di sostenibilità è considerato come un’asserzione ambientale.

Claim generici
Greenwashing riempitivoEsempi di asserzioni ambientali generiche, in “black list”, comprendono: «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «verde», «amico della natura», «ecologico», «rispettoso dal punto di vista ambientale», «rispettoso dal punto di vista del clima», «che salvaguarda l’ambiente», «rispettoso in termini di emissioni di carbonio», «efficiente sotto il profilo energetico», «biodegradabile», «a base biologica» o asserzioni analoghe che suggeriscono o danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali. Tali asserzioni ambientali generiche sono vietate a meno che non possa essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. L’asserzione ambientale non è considerata generica se la specificazione dell’asserzione stessa è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo, quale il medesimo annuncio pubblicitario, la confezione del prodotto o l’interfaccia di vendita online. Ad esempio, l’asserzione «imballaggio rispettoso dal punto di vista del clima» sarebbe una asserzione generica, mentre affermare che «il 100 % dell’energia utilizzata per produrre questo imballaggio proviene da fonti rinnovabili» sarebbe una asserzione specifica che non sarebbe soggetta a questo divieto. L’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali è dimostrabile mediante la conformità al Regolamento (CE) n. 66/2010 o a un sistema di assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024 riconosciuto ufficialmente negli Stati membri. In ogni caso, un operatore economico non dovrebbe formulare un’asserzione generica come «consapevole», «sostenibile» o «responsabile» basata esclusivamente sull’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali, in quanto tali asserzioni riguardano altre caratteristiche oltre a quelle ambientali, come le caratteristiche sociali.

La completezza
Il divieto, sancito come pratica ingannevole, di vantare un pregio nel suo complesso quando in realtà questo riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o del servizio si applica, ad esempio, se un prodotto viene commercializzato come «realizzato con materiale riciclato» dando l’impressione che l’intero prodotto sia stato realizzato con materiale riciclato quando in realtà solo l’imballaggio è stato realizzato con materiale riciclato, o se un operatore economico dà l’impressione di utilizzare soltanto fonti energetiche rinnovabili quando in realtà vari impianti dell’operatore economico utilizzano ancora combustibili fossili.

Claim sul clima
Le asserzioni ambientali, in particolare quelle relative al clima, fanno sempre più spesso riferimento alle prestazioni future ai fini della transizione alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica, oppure di un obiettivo analogo, entro una determinata data. con tali asserzioni gli operatori economici danno l’impressione che acquistando i loro prodotti i consumatori contribuiscano a un’economia a basse emissioni di carbonio. 
Sono incluse nella c.d. “black list”, ad esempio, asserzioni quali: «neutrale dal punto di vista climatico», «certificato neutrale in termini di emissioni di CO2», «positivo in termini di emissioni di carbonio», «a zero emissioni nette per il clima», «compensazione climatica», «impatto climatico ridotto» e «impronta di CO2 ridotta». Tali claim possono essere consentiti solo se si basano sull’impatto effettivo del ciclo di vita del prodotto in questione e non sulla compensazione delle emissioni di gas a effetto serra al di fuori della catena del valore del prodotto, in quanto i primi e le seconde non sono equivalenti. Tale divieto non impedisce alle imprese di pubblicizzare i loro investimenti in iniziative ambientali, compresi i progetti sui crediti di carbonio, purché forniscano tali informazioni in modo non ingannevole e conforme ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione.

Gli impegni degli operatori
Sono vietate le asserzioni che non risultano corroborate da impegni e obiettivi chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che indichi in quale modo tali impegni e obiettivi saranno conseguiti e che stanzi risorse a tal fine. Tale piano di attuazione dovrebbe includere tutti gli elementi pertinenti necessari per adempiere agli impegni, quali le risorse di bilancio e gli sviluppi tecnologici. Inoltre, tali asserzioni dovrebbero essere verificate da un esperto terzo, indipendente dall’operatore economico, esente da conflitti di interessi e dotato di esperienza e competenze in materia ambientale.

Vanto di caratteristiche comuni
Un’altra pratica commerciale ingannevole è quella di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti, in quanto comuni a tutti gli analoghi prodotti presenti sul mercato e pertanto scontate, ad esempio asserendo che una particolare marca di acqua in bottiglia è priva di glutine o che i fogli di carta non contengono plastica.
Coerentemente è vietato in ogni circostanza presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria, compresi i prodotti importati, come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico. Tale divieto si applica ad esempio qualora l’operatore economico pubblicizzi un determinato prodotto quale non contente una specifica sostanza chimica laddove tale sostanza è già vietata per legge nell’Unione in tutti i prodotti appartenenti alla data categoria.

Sanzioni
Trattandosi di pratiche sleali che si inseriscono nel corpo del Codice del Consumo, sotto il profilo procedurale e sanzionatorio si applicheranno le relative disposizioni. L’operatore rischia in caso di riscontro di una pratica ingannevole l’inibitoria alla prosecuzione del comportamento e una sanzione da 10 mila a 10 milioni di euro.

Conclusioni
La nuova Direttiva (UE) 2024/825 rappresenta il primo passo verso la regolamentazione della comunicazione sugli aspetti “ambientali” che fino ad oggi venivano valutati sulla base di disposizioni non regolamentari non cogenti che pertanto potevano dare adito a difformità di valutazioni. Il quadro regolatorio dovrebbe completarsi con un’altra direttiva in corso di discussione nell’UE sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali espliciteIn tale modo l’operatore avrà a disposizione strumenti più chiari anche se molto rigorosi per la propria comunicazione “ambientale”.

Avv. Chiara Marinuzzi. Studio Legale Gaetano Forte

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